Stefano Gheno, Fondatore di Well At Work e Associati ha pubblicato su Linkedin un articolo sul tema della promozione e della cura del benessere nella scuola.
Ormai vent’anni fa, Massimo Bruscaglioni ed io scrivemmo un contributo per un bel volume di Anna Putton, dal titolo “l’empowerment degli operatori della scuola”. Nel nostro paese il termine empowerment era da poco entrato nel lessico delle discipline psicologiche e organizzative e l’ambito della scuola ci pareva un terreno ideale per sperimentare il nostro modello (per approfondire il modello del self-empowerment). La scuola italiana che si affacciava al ventunesimo secolo era un’Istituzione ricca di tradizioni e cultura, ma decisamente arretrata in termini di innovazioni metodologiche e organizzative. L’approccio dell’empowerment, così centrato sull’idea che il cambiamento non preveda necessariamente una sostituzione di ciò che c’è (ed è buono), ma può procedere per aggiunta, aprendo nuove possibilità di essere e di agire, ci sembrava ideale per affrontare le sfide del nuovo millennio.
L’empowerment è un approccio organizzativo e di change management che valorizza la responsabilità e la partecipazione, inoltre nella sua articolazione psicologico permette di affrontare il cambiamento riducendo lo stress ad esso collegato e promuovendo il benessere delle persone coinvolte (per approfondire il rapporto tra self-empowerment e benessere).
Queste proprietà dell’empowerment mi paiono prepotentemente richieste dal momento che stiamo vivendo oggi. Nell’emergenza legata alla pandemia di Covid-19 la scuola risulta essere una delle realtà più colpite: magari non tragicamente per numero di contagi o decessi subiti, ma comunque in modo drammatico per il blocco delle attività quotidiane e la miracolosa capacità di risposta che in autonomia molte scuole hanno dimostrato. Per rispondere gli operatori hanno messo in gioco tutta la propria motivazione e le proprie competenze, dimostrando una resilienza per certi versi inattesa dai più.
Ho avuto occasione, in questo periodo di lockdown fisico della scuola, di confrontarmi con decine di operatori: insegnanti, dirigenti, tecnici-amministrativi. Raccogliendo la loro testimonianza e cercando di rispondere alle loro richieste di aiuto.
Il cambiamento richiesto è stato indubbiamente imponente. A tale domanda si è dovuto necessariamente rispondere con risorse limitate, sulla carta decisamente insufficienti alle necessità. Tale insufficienza, come dicevamo è stata compensata dall’iniziativa di molti, ora però è arrivato il momento di dare una risposta più organica e strutturata. Il carico di stress del personale della scuola è certamente aumentato, per quantità e qualità. È in agguato il rischio che nella ripresa del prossimo anno scolastico non si tenga conto di ciò, confidando sull’esaurimento della virulenza della pandemia per tirare una riga su quanto vissuto fin qui, e va il più possibile scongiurato, se non vogliamo che il sistema collassi. La resilienza dimostrata, lo dicevo, è stata eccezionale. Anche una resilienza straordinaria va alimentata ed è quindi giunto il momento di occuparci delle persone di scuola, garantendo loro una presa in carico delle loro fatiche psicologiche e fornendo strumenti di sviluppo che le mettano in condizione di ripartire con efficacia e speranza.
A mio avviso si possono evidenziare alcuni fronti su cui lavorare, ne cito tre:
Il primo è quello dello sviluppo di competenze didattiche innovative. Che tengano conto da un lato delle opportunità che la didattica a distanza offre, ma dall’altro non abbandonino la centralità della relazione educativa in presenza che continua ad essere il veicolo più efficace di sviluppo sociale. Per fare questo dobbiamo formare gli insegnanti, non solo e non tanto alla tecnologia, quanto alla relazione in contesti e con modalità non tradizionali, aiutandoli anche a ripensare al proprio ruolo e – cosa ancora più importante – alla propria immagine di sé.
Il secondo è quello di modelli organizzativi interni alla scuola e nel rapporto tra scuola e famiglie che vedano lo smartworking come un’opportunità e non come una toppa da mettere allo pneumatico che si è sgonfiato. Per fare questo dobbiamo formare dirigenti e personale tecnico-amministrato in modo che sviluppino nuovi modelli, le relative procedure e imparino ad attuarle senza soccombere.
L’ultimo è quello che potremmo – più in generale – chiamare del people care. Si tratta di fornire un supporto non solo formativo ma anche psicologico al personale tutto, in modo che non sia lasciato solo nella sua fatica di adattarsi ad un ambiente che è cambiato in modo così repentino e imprevisto, e da cui è certamente prevedibile attendersi nuovi cambiamenti.
Sono convinto che il benessere di chi lavora nella scuola e, di conseguenza, di chi frequenta la scuola sia legato ad uno sviluppo dell’empowerment del sistema e delle persone che lo abitano. Gli ambiti di lavoro che ho sintetizzato poc’anzi sono certamente fattori di empowerment, ma perché le azioni suggerite non restino vuote dichiarazioni d’intenti è necessario che da un lato la scuola si appropri realmente di quella autonomia più volte concessa sulla carta, ma sistematicamente disattesa per il bizantinismo delle nostre Istituzioni, dall’altro che la comunità scolastica tutta si orienti ad un cambiamento possibile e non permanga in un atteggiamento conservatore e resistente. Il lockdown ci ha insegnato molto, come sempre però apprendere anche dipende da noi.