Maurizio Cecchetti, Avvenire.it, 19.11.21
“Quando oltre vent’anni fa Francesca Alfano Miglietti organizzò al Pac di Milano la mostra Rosso vivo – una sorta di teatro sacrificale dell’arte contemporanea, dove il sangue aveva una ragione più che simbolica –, si capivano due cose abbastanza importanti sullo stato della realtà: s’imponeva la condizione di capro espiatorio dell’artista, che si offriva come testimone di un mondo “post umano”, vale a dire un mondo dove l’artificiale chiedeva prepotentemente di aprirsi spazi nei quali, dopo l’icona cinematografica di Blade Runner, il rapporto fra arte e realtà veniva ineluttabilmente a dipendere dalla mentalità cyborg. Di seguito a questa premessa, la mostra Rosso vivo ci metteva di fronte a un fatto compiuto: la svolta antropologica dell’arte che da simbolo decadeva a sintomo del reale.
Se ancora nell’Arte povera e nella Transavanguardia fra tradizione e nuove concettualità il valore simbolico resisteva nella sua permanenza di linguaggio-forma, ora queste due componenti basilari nello statuto artistico mutano, anche col diffondersi dei video e delle installazioni, la loro funzione espressiva. Sono, ormai, inevitabilmente sottomessi al dettato sociologico della comunicazione”.