A. D’Avenia, Corriere della Sera, 22 giugno 2020
Leggere il Gattopardo non è solo concedersi la gioia di una prosa che crede nelle subordinate e nelle pause, e quindi nell’ordine delle cose e nel silenzio, ma è soprattutto risvegliare la memoria viva a cui diamo nomi nostalgici — ricordi, infanzia, casa — che sono solo segni di quella «vita che non muore» a cui ci sentiamo chiamati