Alessandro Artini, ilSussidiario.net, 13.11.21
“Che la Dad non rappresenti uno strumento didattico ottimale, lo abbiamo chiarito più volte. Se dovessimo sintetizzare con un solo argomento le numerose critiche, suggeriremmo di considerare la sola questione della socializzazione degli alunni, che è un ingrediente fondamentale dell’apprendimento.
Si impara parlando con gli amici, imitando ed emulando i più capaci. Si impara solidarizzando con i compagni di fronte alle comuni difficoltà e vivendo assieme le emozioni della vita scolastica, nella tensione per un imminente compito in classe e nell’attesa, talvolta non soddisfatta, di un risultato positivo.
Indirettamente e impropriamente (almeno per i sociologi), si socializza anche con i docenti, vivendo empaticamente le emozioni che essi comunicano. Talvolta i concetti si spiegano meglio con la forza di un gesto e la postura del corpo, che non con le parole: l’aula è un palcoscenico dove ciascun docente attua una propria performance, come suggerisce il grande psicologo Erving Goffman.
Si apprende quando le parole risuonano di passione e vibrano nell’aria; quando si ascolta una spiegazione dalla viva voce del docente, mentre scrive alla lavagna o muove braccia e mani per comunicare la forza delle sue argomentazioni. Si apprende percependo l’energia di una piccola comunità, quella della classe, che insieme compartecipa alla vita scolastica.
È possibile tutto questo all’interno di una room, in un’aula virtuale trasferita nell’etere? È possibile, se i compagni sono ridotti a figurine sullo schermo di un pc? La risposta negativa è del tutto retorica.
Ciò posto, dobbiamo porci la domanda se sia ragionevole gettare alle ortiche la Dad (e forse anche le tecnologie informatiche sulle quali ci ingegniamo in ogni modo, da circa un trentennio, per costruire nuove didattiche)?”