Alessandro Zaccuri, Avvenire.it, 18.12.21
“Per Daniele Mencarelli il pranzo di Natale non finisce mai. «È uno dei miei sogni ricorrenti – racconta –. Vengo da una famiglia numerosa, ramificata. Una famiglia proletaria, con tutta la dignità che il riferimento alla prole comporta. Da parte di mia madre, in particolare, sono in undici tra sorelle e fratelli. A Natale ci si ritrovava sempre da una di queste zie: la tavolata degli uomini, quella delle donne e poi noi bambini, che venivamo sistemati dove c’era posto. Non solo in soggiorno, ma anche in corridoio, in camera da letto, dappertutto. Per me Natale è un grande banchetto che deborda e che accoglie tutti».
Mencarelli ha un modo singolare di esporsi. Ha iniziato a farlo nelle sue poesie (ora riunite in Tempo circolare, edito da Pequod nel 2019), attraversate da un riverbero autobiografico che ha avuto piena espressione nella trilogia di romanzi La casa degli sguardi, Tutto chiede salvezza (vincitore del premio Strega Giovani) e il recentissimo Sempre tornare. Tutti pubblicati da Mondadori, sono usciti in rapida successione tra il 2018 e il 2021 e descrivono un percorso a ritroso, dall’ingresso nell’età adulta all’adolescenza, lungo il quale Mencarelli non nasconde nulla di sé e delle fragilità con cui si è dovuto misurare. Eppure, quando parla, nella sua voce resta un’ombra di pudore, come se uscire dal riserbo gli costasse ancora fatica. «Per molto tempo – ammette – ho cercato di mascherare le mie origini, adesso invece ne sono orgoglioso. Se nonostante i miei errori non mi sono perduto, lo devo al fatto di essere cresciuto in una famiglia umile anziché in un contesto borghese. Più ci penso, più “umiltà” mi sembra una parola bellissima, perché descrive l’adesione all’humus, alla terra, che è la forma essenziale della realtà. Bella come “prole”, appunto, che si riferisce ai figli, al dono e alla forza che i figli rappresentano»”.